I quindicimila passi

di Vitaliano Trevisan

La nostra recensione

Giudizio piuttosto unanime del gruppo di lettura su questo libro di Vitaliano Trevisan. Dopo un inizio incerto e un po’ ripetitivo - che però ben rappresenta il delirio del protagonista - il libro prende man mano velocità fino a raggiungere l’inatteso epilogo in un crescendo di ossessioni e manie. La viscosità che è tipica della persona malata di mente è riprodotta con grande maestria. Innegabile la bravura dello scrittore nel riprodurre un ritmo che qualcuno ha definito musicale, con momenti di “largo” e altri di “presto” e “vivace”. Molti i richiami che ci sono venuti in mente: Pirandello, Kierkegaard, Camus, Thomas Bernhard (il nome del protagonista è Thomas volutamente?) Si intuiscono una grande cultura classica, uno spessore intellettuale, una straordinaria capacità di vivisezionare gli oggetti e le persone. Non mancano i momenti di poesia pura quando descrive il rapporto tra l’uomo e la natura, alternati all’indignazione e alla rabbia nei confronti dello sviluppo edilizio e industriale che ha cancellato i boschi e la campagna. Forse le contraddizioni del protagonista, che vive le sue ossessioni inconsapevole della malignità della sua mente, forse inquietano perché sono tipiche di ogni essere umano e il confine che c’è tra le nostre piccole manie e il delirio di Thomas potrebbe rivelarsi labile.

La trama:

Thomas conta i passi. Da casa alla questura, millecinquantatré passi. Da casa al tabaccaio, settecentonovantuno. Da casa al negozio di alimentari, milleottocentocinquantuno. Conta con una precisione metodica, senza lasciarsi distrarre da niente, gli occhi fissi a terra, un gessetto sempre in tasca per segnare il punto da cui ripartire in caso di una deviazione imprevista. Scandire il numero dei passi lo aiuta a tenere la morte un passo indietro, tra le macchine che gli sfrecciano accanto lungo strade tutte uguali, perché in definitiva la strada è sempre una sola.